A conti fatti by Franco Bernabè

A conti fatti by Franco Bernabè

autore:Franco Bernabè [Bernabè, Franco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2020-06-10T17:41:07+00:00


X.

L’Opa dei “capitani coraggiosi”

Quella sera di ottobre del 1998 ero a Londra per una cena con gli investitori che avevano partecipato al collocamento della quarta tranche di azioni Eni messa in vendita dal Tesoro nella terza decade di giugno. L’offerta era stata un successo e aveva portato altri 13mila miliardi di lire nelle casse dello Stato. C’era grande interesse intorno a Eni. Dedicavo molto tempo a curare i rapporti con i grandi fondi entrati massicciamente nel capitale. Pensavo che presto sarebbe stata messa sul mercato una quinta tranche e volevo che avesse lo stesso successo delle altre. L’incontro era stato organizzato da Andrea Morante, il banchiere di Crédit Suisse scelto dal Tesoro per curare l’offerta di Eni, che per conto del governo aveva già gestito altre importanti operazioni. Alla fine della serata Andrea mi disse che doveva essere a Roma il mattino seguente e mi chiese un passaggio a bordo del nostro aereo. Partimmo al mattino presto. Per una strana coincidenza eravamo soli e Andrea era in vena di confidenze. I banchieri sono una straordinaria fonte di informazioni perché come i confessori conoscono i peccati di tutti. Lo stetti ad ascoltare con interesse. Mi parlò della disastrosa situazione del “nocciolino duro” di Telecom Italia, l’appellativo fra l’ironico e lo sprezzante che il presidente della società, Gian Mario Rossignolo, aveva affibbiato agli azionisti che partecipavano al nucleo stabile o nocciolo duro che dir si voglia. Morante mi confidò che i soci della più grande impresa italiana di telecomunicazioni erano alla disperata ricerca di un manager che li portasse fuori dal guado. Le gaffe di Rossignolo erano ormai all’ordine del giorno. I suoi errori di comunicazione avevano fatto crollare le quotazioni del titolo, con grave danno per gli azionisti e imbarazzo per il governo. I soci stabili che avevano investito in Telecom su sollecitazione del governo Prodi erano molto preoccupati. A loro faceva capo il 6,6% del capitale. Ifil, la società degli Agnelli presieduta da Umberto, che di fatto aveva scelto Rossignolo, aveva lo 0,6%.1 E quote inferiori all’1% avevano tutti gli altri maggiori azionisti: Imi con lo 0,8%, Credito Italiano e Crédit Suisse con lo 0,7% a testa, Generali e Fondazione Compagnia di San Paolo con lo 0,6% a testa, Comit, Ina, Monte dei Paschi e Fondazione Cariplo con lo 0,5% a testa, Alleanza con lo 0,4% e Rolo Banca con lo 0,3%. Solo il Tesoro era rimasto con il 3,46%, che cederà anni dopo sul mercato per fare cassa. Il resto delle azioni, la stragrande maggioranza, era dispersa tra grandi investitori istituzionali e piccoli risparmiatori.

Morante mi chiese se fossi disponibile a lasciare Eni per Telecom, aggiungendo che, data la situazione, i tempi per una decisione erano molto stretti. Rimasi sorpreso ma anche molto incuriosito dalla proposta. Gli obiettai che non vedevo il motivo per lasciare Eni, ormai avviata su un percorso di crescita e di successo, per una nuova avventura complessa e rischiosa. Morante insistette, facendo leva sul mio amor proprio. Mi disse che dopo aver vinto la sfida di Eni non avrei potuto accontentarmi di gestire l’ordinaria amministrazione.



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